“Scusa.”
“Ho sbagliato.”
“Mi dispiace.”
Siamo spesso così intimoriti dal pronunciare queste parole che non ci rendiamo conto di quanto tempo lasciamo scorrere senza viverlo davvero.
La convinzione che dire “mi dispiace” ci ponga in una condizione di svantaggio rispetto all’altro fa inevitabilmente mettere in atto comportamenti sabotanti guidati più dalla paura di non rispondere all’immagine che abbiamo di noi, che dal desiderio di cooperare ad un obiettivo comune.
Ci allontana inevitabilmente dall’amore.
La visione comune della “coppia felice” ci fa, inevitabilmente, pensare che una relazione sana ed equilibrata sia quella in cui crisi e conflitto siano inesistenti e/o in cui si abbiano opinioni concordi su tutti (o quasi) gli aspetti della vita. Ma… davvero è sempre così? Se davvero così fosse, allora perché anche le relazioni che sembrano perfette arrivano al capolinea?
Nell’assumere questa prospettiva, stiamo forse trascurando qualcosa? Cosa genera un conflitto?
Cos’è e come gestire il conflitto?
È definita conflitto qualsiasi interazione caratterizzata da una divergenza di opinioni, sia in senso positivo che negativo. A generare una situazione conflittuale può essere qualsiasi evento di vita: comuni situazioni di stress, cambiamenti, quotidiane difficoltà.
A svolgere un ruolo decisivo nelle situazioni conflittuali è la comunicazione. Lo stile comunicativo e relazionale di ciascun partner, infatti, permette di gestire il conflitto in modo costruttivo o distruttivo, a seconda dell’atteggiamento di apertura o di chiusura che viene assunto nei confronti dell’altro.
Proprio l’apertura verso l’altro, l’empatia, la stima positiva di sé e del partner sono chiare manifestazioni di un buon livello di comunicazione (definita, appunto, funzionale) e consentono un maggior adattamento alla relazione.
La comunicazione disfunzionale
Esistono, tuttavia, anche situazioni opposte. Si tratta di relazioni nelle quali empatia ed apertura verso l’altro, che esprime un parere diverso dal proprio, non sono messe in atto in maniera agevole e naturale.
In questo stile relazionale, la comunicazione inefficace, ovvero disfunzionale, è uno dei principali fattori di rischio per la continuità della relazione. In tali casi, i partner tendono a non prendere in considerazione gli aspetti emotivi di una discussione, perché si tende a minimizzare ciò che il partner esprime sia a livello verbale che non verbale. Tuttavia, evitamento e rifiuto delle discussioni possono dimostrarsi più dannosi di uno scambio comunicativo rabbioso.
La rabbia: è sempre un’emozione “negativa”?
La rabbia, che viene spesso percepita come un’emozione dai connotati negativi, cela in sé un dolore più profondo che, probabilmente, in quella precisa situazione non riesce a trovare altre manifestazioni.
Comprendere l’espressione della sofferenza del partner che mette in atto uno scambio rabbioso può essere possibile solo se ci si pone in una posizione di ascolto attivo ed empatico di ciò che il partner, in quel momento, sta cercando di comunicare.
Screditare l’altro, minimizzare o negare il suo vissuto genera un
a frattura nella comunicazione che, se reiterata nel tempo, può condurre anche ad una rottura della relazione.
Infatti, le coppie nelle quali i partner riescono ad utilizzarsi reciprocamente come “base sicura” hanno maggiori probabilità di riuscire a risolvere i problemi che hanno innescato il conflitto. La comunicazione funzionale permette ai partner di percepire ed esprimere il proprio pensiero con maggiore libertà, perché non vengono messi in atto comportamenti screditanti nei confronti del partner. In questi casi, infatti, le manifestazioni di rabbia si figurano come elementi positivi, perché esprimono un impegno più profondo verso la riparazione della rottura imposta dal conflitto.
Invece, nelle coppie i cui partner fanno fatica a percepirsi come fonte di sostegno aumentano le probabilità che crisi e conflitto di coppia lascino esprimere atteggiamenti svalutanti. Ostilità, disimpegno affettivo, mancanza di calore e di vicinanza emotiva tendono ad amplificare quella distanza percepita nei momenti di discussione e nelle interazioni conflittuali.
Tuttavia, gli effetti, forse, più distruttivi sono generati dai comportamenti di ritiro che, nella maggior parte dei casi, viene vissuto come un abbandono.
Dunque…
È possibile risolvere un conflitto?
Tra le strategie più risolutive per porre termine ad un conflitto in maniera costruttiva e funzionale rientrano:
- la capacità di chiedere sostegno al partner nei momenti di bisogno;
- la capacità di fornire sostegno al partner quando lo richiede;
- la capacità di sentirsi a proprio agio con se stessi e di affermare la propria individualità pur stando in coppia;
- la capacità di negoziare in caso di conflitto.
Infatti, posto che il conflitto è presente in ogni tipo di relazione, è bene sottolineare che esso può essere inteso in un’accezione positiva, quando dà origine a comportamenti di cura, accoglienza e comprensione nei confronti dell’altro.
Alfred Adler nel suo libro “La cooperazione tra i sessi” pone in luce un aspetto tanto importante quanto sottovalutato nel definire una relazione di coppia: i partner sono due alleati che lavorano insieme (cooperano, appunto) al raggiungimento di un obiettivo comune.
In un certo senso, Erich Fromm riprende il medesimo concetto nel definire l’amore come un’arte che richiede “sforzo e saggezza”.
Il rischio che corriamo nel non assumere una prospettiva di auto-analisi è quello di rimpiangere l’occasione non colta. Un abbraccio non dato, un sorriso non ricambiato, un chiarimento non cercato o rifiutato. La paura di rischiare, di soffrire, di apparire vulnerabili ci allontanano dalla possibilità di vivere davvero e ci trattengono in uno stato di costante attesa: attesa di qualcosa che deve accadere per far sì che finalmente saremo felici.
Ma la felicità si costruisce facendo caso alle piccole cose, forse proprio a partire da quel “mi dispiace” che al suo interno racchiude molto più amore (per se stessi, per l’altro) di quanto possa sembrarci.
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